20 nov 2025

12 min

La scienza della motivazione: perché il cervello a volte ci “blocca”

20 nov 2025

12 min

La scienza della motivazione: perché il cervello a volte ci “blocca”

A tutti capita: ci svegliamo convinti di voler cambiare qualcosa — iniziare un nuovo progetto, migliorare una relazione, affrontare un percorso di cura — e dopo poche ore quella spinta iniziale sembra svanita. La motivazione è un fenomeno psicologico e biologico complesso, e negli ultimi vent’anni la neuroscienza ha compiuto progressi importanti nel cercare di capire perché il cervello ci porti, a volte, a rimandare, evitare, rinunciare o auto-sabotarci.

Non è semplice pigrizia. Non è mancanza di volontà. È il risultato di un delicato equilibrio tra circuiti cerebrali, memorie, fattori emotivi e chimica neuronale. Comprenderne il funzionamento significa capire perché alcuni ostacoli interiori sembrano “automatici”, e — soprattutto — cosa può aiutarci a superarli.


Dove nasce la motivazione (e dove si inceppa): il circuito dopaminergico

Uno dei modelli più accreditati per capire la motivazione è quello basato sulla dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto nell’anticipazione della ricompensa.
Secondo alcuni studi condotti presso il National Institute of Mental Health, la dopamina non è la “molecola del piacere”, come spesso si è creduto, ma piuttosto un segnale che indica al cervello quanto “vale la pena” compiere un’azione.

Il sistema di ricompensa, che comprende aree come:
• nucleus accumbens
• corteccia prefrontale mediale
• area tegmentale ventrale (VTA)

valuta continuamente costi, rischi, sforzo richiesto e beneficio previsto.
Se il cervello percepisce il compito come troppo impegnativo rispetto alla ricompensa, la motivazione cala — anche quando sappiamo razionalmente che la scelta sarebbe vantaggiosa.

Studi sperimentali su pazienti con disturbi dell’umore hanno mostrato una minore attivazione di queste aree durante compiti che richiedono sforzo e decision-making.
(Fonte non verificata: Treadway et al., Journal of Neuroscience, 2012.)


Perché ci blocchiamo: i tre errori del cervello umano

1. Sovrastima dei costi cognitivi

Il cervello tende a ingigantire lo sforzo necessario per iniziare un’attività. Questa distorsione è così comune che alcuni ricercatori della Carnegie Mellon University l’hanno definita “overestimation bias”.

2. Memoria emotiva negativa

Il cervello ricorda più facilmente esperienze spiacevoli o fallimenti.
Se un compito è associato a frustrazione o ansia, l’amigdala può “bloccare” l’iniziativa prima ancora che inizi.

3. Mancato allineamento tra azione e ricompensa

Quando il beneficio è percepito come lontano o astratto, il sistema dopaminergico non si attiva con sufficiente intensità.
Ecco perché è difficile essere motivati da obiettivi troppo distanti nel tempo.


Stress, stanchezza mentale e motivazione: un legame diretto

Lo stress cronico altera profondamente i circuiti della motivazione. Il cortisolo, se elevato per periodi prolungati, riduce l’attività della corteccia prefrontale — la parte del cervello coinvolta nella pianificazione, nel controllo dell’impulso e nell’avvio dell’azione.

In altri termini: quando siamo emotivamente stanchi, la motivazione non può funzionare bene, perché il cervello si orienta verso la conservazione delle energie.


Neuroscienze e cambiamento: cosa aiuta davvero ad aumentare la motivazione

1. Piccoli obiettivi e ricompense immediate

Studi sul “reward prediction error” mostrano che il cervello risponde molto meglio a ricompense frequenti e ravvicinate.
Suddividere un compito difficile in micro-obiettivi aiuta ad aumentare la dopamina in modo naturale.

2. Ridurre l’incertezza

L’incertezza attiva l’amigdala e riduce la motivazione.
Anche solo avere un piano strutturato riduce il rischio di blocco emotivo.

3. Tecniche di neuromodulazione

Alcune tecniche — come la stimolazione magnetica non invasiva — possono modulare i circuiti cerebrali implicati nella regolazione dell’umore e dell’iniziativa, migliorando in alcuni casi la capacità di intraprendere e mantenere nuovi comportamenti.
(Riferimento non verificato.)

4. Supporto psicologico e regolazione emotiva

Le terapie basate sulla consapevolezza emotiva riducono la reattività dell’amigdala, facilitando l’azione.


Il mito della volontà e la realtà della biologia

La motivazione non è un atto di volontà pura.
È il risultato dinamico di segnali chimici, valutazioni inconsapevoli, memorie emotive e strutture cerebrali che lavorano insieme.

Capire che la motivazione è un fenomeno biologico, e non un “difetto caratteriale”, può aiutare a ridurre il senso di colpa e a intraprendere percorsi più realistici verso il cambiamento.

A tutti capita: ci svegliamo convinti di voler cambiare qualcosa — iniziare un nuovo progetto, migliorare una relazione, affrontare un percorso di cura — e dopo poche ore quella spinta iniziale sembra svanita. La motivazione è un fenomeno psicologico e biologico complesso, e negli ultimi vent’anni la neuroscienza ha compiuto progressi importanti nel cercare di capire perché il cervello ci porti, a volte, a rimandare, evitare, rinunciare o auto-sabotarci.

Non è semplice pigrizia. Non è mancanza di volontà. È il risultato di un delicato equilibrio tra circuiti cerebrali, memorie, fattori emotivi e chimica neuronale. Comprenderne il funzionamento significa capire perché alcuni ostacoli interiori sembrano “automatici”, e — soprattutto — cosa può aiutarci a superarli.


Dove nasce la motivazione (e dove si inceppa): il circuito dopaminergico

Uno dei modelli più accreditati per capire la motivazione è quello basato sulla dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto nell’anticipazione della ricompensa.
Secondo alcuni studi condotti presso il National Institute of Mental Health, la dopamina non è la “molecola del piacere”, come spesso si è creduto, ma piuttosto un segnale che indica al cervello quanto “vale la pena” compiere un’azione.

Il sistema di ricompensa, che comprende aree come:
• nucleus accumbens
• corteccia prefrontale mediale
• area tegmentale ventrale (VTA)

valuta continuamente costi, rischi, sforzo richiesto e beneficio previsto.
Se il cervello percepisce il compito come troppo impegnativo rispetto alla ricompensa, la motivazione cala — anche quando sappiamo razionalmente che la scelta sarebbe vantaggiosa.

Studi sperimentali su pazienti con disturbi dell’umore hanno mostrato una minore attivazione di queste aree durante compiti che richiedono sforzo e decision-making.
(Fonte non verificata: Treadway et al., Journal of Neuroscience, 2012.)


Perché ci blocchiamo: i tre errori del cervello umano

1. Sovrastima dei costi cognitivi

Il cervello tende a ingigantire lo sforzo necessario per iniziare un’attività. Questa distorsione è così comune che alcuni ricercatori della Carnegie Mellon University l’hanno definita “overestimation bias”.

2. Memoria emotiva negativa

Il cervello ricorda più facilmente esperienze spiacevoli o fallimenti.
Se un compito è associato a frustrazione o ansia, l’amigdala può “bloccare” l’iniziativa prima ancora che inizi.

3. Mancato allineamento tra azione e ricompensa

Quando il beneficio è percepito come lontano o astratto, il sistema dopaminergico non si attiva con sufficiente intensità.
Ecco perché è difficile essere motivati da obiettivi troppo distanti nel tempo.


Stress, stanchezza mentale e motivazione: un legame diretto

Lo stress cronico altera profondamente i circuiti della motivazione. Il cortisolo, se elevato per periodi prolungati, riduce l’attività della corteccia prefrontale — la parte del cervello coinvolta nella pianificazione, nel controllo dell’impulso e nell’avvio dell’azione.

In altri termini: quando siamo emotivamente stanchi, la motivazione non può funzionare bene, perché il cervello si orienta verso la conservazione delle energie.


Neuroscienze e cambiamento: cosa aiuta davvero ad aumentare la motivazione

1. Piccoli obiettivi e ricompense immediate

Studi sul “reward prediction error” mostrano che il cervello risponde molto meglio a ricompense frequenti e ravvicinate.
Suddividere un compito difficile in micro-obiettivi aiuta ad aumentare la dopamina in modo naturale.

2. Ridurre l’incertezza

L’incertezza attiva l’amigdala e riduce la motivazione.
Anche solo avere un piano strutturato riduce il rischio di blocco emotivo.

3. Tecniche di neuromodulazione

Alcune tecniche — come la stimolazione magnetica non invasiva — possono modulare i circuiti cerebrali implicati nella regolazione dell’umore e dell’iniziativa, migliorando in alcuni casi la capacità di intraprendere e mantenere nuovi comportamenti.
(Riferimento non verificato.)

4. Supporto psicologico e regolazione emotiva

Le terapie basate sulla consapevolezza emotiva riducono la reattività dell’amigdala, facilitando l’azione.


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La motivazione non è un atto di volontà pura.
È il risultato dinamico di segnali chimici, valutazioni inconsapevoli, memorie emotive e strutture cerebrali che lavorano insieme.

Capire che la motivazione è un fenomeno biologico, e non un “difetto caratteriale”, può aiutare a ridurre il senso di colpa e a intraprendere percorsi più realistici verso il cambiamento.

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